Una corsa in ospedale, con il figlio appresso. E poi chissà.
C'era la madre del mio Lui, su quell'ambulanza.
Crisi nervosa e tentato suicidio.
Troppe pastiglie in quell'armadietto perché avesse problemi a contarle, come compulsivamente fa quando ha le sue ricadute. Conta, sgrana corone di rosario con qualsiasi cosa, poi le lancia ed aspetta che qualcuno raccolga i suoi danni, che la fanno ridere di pancia e pare che sia felice, mentre invece è solo inebriata di chissà quale scheggia impazzita nei suoi neuroni.
E così Lui ha scoperto di colpo la paura di perderla; gli è arrivata, lo so, come una pugnalata sotto lo sterno e gli ha fatto vedere nero. Ha scoperto l'angoscia ed il rimorso di aver detto giorni orsono che avrebbe preferito non vederla più, pur di non vederla in quello stato. A sguazzare falsamente cosciente in bilico sull'orlo di quel pozzo nero.
E non ha fondo quel pozzo, non ancora.
E come un bambino ripete "non lo faccio più, non lo dico più" e giura sulla propria testa mentre piange e mi chiede di non abbandonarlo.
Amore mio, spero che basti questo tuo giuramento, assieme alla mia paura ed al mio amore, a darti modo di mantenerlo.
Post Scriptum: ammazzo l'attesa mangiandomi le unghie, sono anni che ho smesso però. E' che vorrei stare con Lui in mezzo a quelle mura asettiche, abbracciarlo, dividere un po' di pena, invece il mio posto non è ancora lì. Allora mi torturo e fremo.