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Un po' (molto po') di me

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Sono una wannabe-molte cose: giornalista, fotografa, animatrice, interprete, scrittrice, designer. O per meglio dire sono una WANTED TO, visto che ho scelto una carriera da creativa che mi ha portato al niente disoccupazionale. MA sono anche: figlia unica (e assenteista), moglie mutevole; riciclona seriale con tendenza compulsiva all'ammucchio negli angoli, amica leale, tendente alla puntualità cronica e alla lacrima+sigaretta, professionalmente impeccabile. Contraddittoria e mutevole. Cinica e creativa. Stronza, nella maggior parte dei casi.

sabato 28 dicembre 2013

disauguri


Mezzanotte e quarantaquattro del 28 dicembre: quasi l'attimo perfetto a cavallo tra il rossorubino del Natale e il glitter del Capodanno.
Bene, se festeggiate, che siano festeggiamenti degni e (in)decorosi... questo vi auguro.
Io non festeggio perché non ho di che festeggiare, perché lo spirito mi manca e perché l'allergia alle feste quest'anno è arrivata al suo picco estremo. Però vi auguro di passare giorni sereni e un po' zuccherosi e amari come l'amore e la verità.
E bon, ci vediamo alla Befana se non avrò altro da dire - se farò il bilancio di Capodanno, per pietà, uccidetemi! Magari scriverò del carbone.

martedì 10 dicembre 2013

December Blues


E lo so, che sono sempre io quella gramigna incontentabile che la vuole cotta e poi la vuole cruda.
E sono fortunata, sì, me lo ripeto da un po'. Fortunata per questo tetto sulla testa e per tutti quelli a venire, fortunata per un marito, per uno stipendio (il suo), per la salute - tutto sommato; per un guardaroba che trabocca e pentole con sempre qualcosa da metterci dentro.

Però babbo, anche quest'anno mi viene da piangere. Ogni anno piango quando arriva dicembre. Ogni cazzo di anno piango l'8 dicembre perché vedo troppe lucine e troppo rosso e mi danno allergia; piango a dirotto quando ho finito di scartare i regali, stacco la spina alle luminarie dell'albero, controllo il russare di Consorte e vado a inondare il bicchiere notturno di latte caldo.
Perché va bene, c'è sempre una busta bianca, e dentro c'è sempre, con calligrafia ogni anno più malferma, la dedica fittizia di te mio pezzo di carne, te unica fune che mi congiunge con la genetica di chi non c'è più. Te respiro mio, te mia dannazione e mia consolazione, te che quando sparirai sarò per davvero un pacco senza mittente e senza destinatario. Te a cui vorrei dare altra carne nella quale estenderti, per non smettere mai di sopravvivere alle tue malattie e alla vecchiaia che ti aggroviglia testa e gambe e ti cementa in una prigione di spettri e pastiglie. Ma non posso e sento le tue domande premere per bucare la guaina della distanza e del riserbo che vorrei non avere con te se solo avessi la speranza di non trasmetterti un ennesimo patema.
E nella tua dedica fittizia c'è tutto questo che tu non mi dici ma so che lo pensi, ed io dediche non ne scrivo mai, non spendo parole per giustificare un regalo. Tu lasci che la dedica sia la parte bella del regalo e il resto mancia. Sui soldi non posso dire nulla, babbo, lo sai. Sono io la figlia dalla parte sbagliata, della generazione sbagliata, del sesso sbagliato, con il curriculum sbagliato al momento sbagliato. Sono io quella che raccoglie a malincuore i frutti insapori e insensati di tutto il benessere dorato che la tua generazione ha coltivato per quelli della mia età. Però quanto vorrei qualcos'altro, babbo.
Quanto vorrei una dedica in meno e qualche attimo in più... quegli attimi in cui dai aria al tuo cervello - e sarebbe un bello sforzo da fare, ma penso di potertelo chiedere una volta tanto - e pensi. Pensi a me. A me come persona, non come quella che ha bisogno di soldi, quella che "cazzo ne so cos'è ha nell'armadio", quella così genialmente presa dai gusti tutti suoi... perché c'è anche il mio comodino da sbirciare se vuoi sapere cosa leggo, ci sono le mie amiche da chiamare per indagare, c'è tuo genero che può imbeccarti... ci sarebbe tanto da ascoltare in quello che senti dalla mia voce al telefono, se solo tu ascoltassi. Se solo ti sforzassi di non vedermi come una neonata ai cui bisogni primari bisogna provvedere, e poi alle coccole ci pensano gli altri. 

Non sei un ente assistenziale, sei mio padre.
I regali che mi piacciono non sono quelli che posso comperarmi in boutique, ma quelli che troveresti tu su un banco del mercato, magari della taglia sbagliata e del colore più orribile che io possa immaginare.
Ma tu vuoi che io usi i tuoi soldi per comperarmi qualcosa che desidero. Ecco, io desidero una tua mezza mattinata, un tuo pensiero, un tuo dubbio di gusto.
Un paio di parigine a scacchi fucsia, magari coi glitter e i pon pon, che secondo te stanno bene con le mie DrMartens...

... che non ho più da 10 anni, ma te ne accorgeresti?!