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Un po' (molto po') di me

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Sono una wannabe-molte cose: giornalista, fotografa, animatrice, interprete, scrittrice, designer. O per meglio dire sono una WANTED TO, visto che ho scelto una carriera da creativa che mi ha portato al niente disoccupazionale. MA sono anche: figlia unica (e assenteista), moglie mutevole; riciclona seriale con tendenza compulsiva all'ammucchio negli angoli, amica leale, tendente alla puntualità cronica e alla lacrima+sigaretta, professionalmente impeccabile. Contraddittoria e mutevole. Cinica e creativa. Stronza, nella maggior parte dei casi.

martedì 29 gennaio 2013

guidando verso casa

Gracchiava l'autoradio, qualche sera fa: un casuale classico del rock. O era roba moderna tinta di vintage? Non lo so, era solo il rimbombo di un sottofondo inutile.
Troppe fitte alla pancia, alla mia pancia vuota che fa eco. Lacrime che se ne uscivano da sole senza chiedere nessun nulla osta, che non facevano neppure male e non scottavano, magari erano soltanto meno calde dopo essere state trattenute.
E noi due sulla strada verso casa, nella nebbia una coppia di nebbia. Che se mi fossi piazzata sulla mezzeria della statale e ci avessi guardati passare, inquadrati nell'oblò del parabrezza, avrei riso amaro di due facce ed espressioni così fantozziane, così mediocri, senza nessun apparente senso. Una tranquilla coppia... vecchia. Una coppia che invecchia assieme ma non troppo assieme, due persone a sé stanti, rinchiuse da un'ora nei loro piccoli insuccessi e nel cagarsi sotto per una sfida comune - ma due teste la vivono come due sfide diverse, forse uno a intralciare l'altro - che vorrebbero affrontare se solo avessero la sicurezza di riuscire, ma allora non sarebbe una sfida. E poi, diciamocelo, come se ci fosse qualcosa da perdere... qualcosa oltre il tempo, oltre i pensieri, oltre all'impegno. Ma noi due siamo bravissimi a buttarle, quelle cose lì, nelle attività più inutili del creato. Noi collezioniamo perdite di.
E non so quando m'è uscito quel pensiero, forse era lì sospeso, disciolto nella nebbia che aveva appena smesso di invischiarmi i capelli. Pensare che la linea di mezzeria è un confine così impalpabile, che il furgoncino davanti va troppo piano per i tuoi gusti di uomo disilluso. Che potresti sorpassare, dai, sorpassa, lo vedo come metti la destra sul cambio e fremi. Dai.
E che in senso inverso ci venisse incontro un tir, di quelli enormi: questo ho pensato (sperato?) in un pensiero lungo un click. Una botta, una grande botta definitiva capace di strapparci alle nostre recriminazioni, all'elenco delle cose che ci siamo rovinati a vicenda, alla sensazione di essere incapaci di capire i segnali che la vita c'ha lanciato, incapaci di gestire progetti coordinati e buttar via zavorre. Una botta che zittisse me, che mi cago sotto anche solo a sporgermi dal terrazzino del bagno. E una botta, la stessa, in contemporanea a te, per non lamentarti più dei giorni uguali ai giorni e dell'angoscia che sale. Bam! Via l'angoscia, via il conto in rosso, via la vecchiaia che c'ha già allungato le dita sulla clavicola e ci trattiene tanti passi già poco convinti della direzione.
Ma tu hai sorpassato una, due, tre volte. Non c'era nessun tir. 
Non avrei gridato. Nemmeno se tu non avessi reagito; magari mi sarebbe uscito un sorriso complice capendo che condividevamo lo stesso volo pindarico, come sempre. Patologicamente assieme. Che poi è quello che voglio, quello che mi figuro idealmente: non un giorno in cui io possa mancare a te o tu a me. In due, io e te, "solo" io e te, o "per fortuna" io e te. Azzerare le distanze, sempre. La chiamerebbero una simbiosi, un disequilibrio malato, i miei amici psicosapienti - ma io lo chiamo il mancato coraggio di ereditare la solitudine, il senso dei limiti.
Siamo una coppia sterile come tante, io e te. Una coppia da rassegnazione e da cane da portare fuori. Una coppia che non sopravviverà.
Quando ci siamo scelti non lo sapevamo, perchè non lo eravamo neppure, e ci regalavamo oggettistica da prima infanzia per darci assaggini di futuro. Adesso sono pugnali di delusione, verso te, verso me stessa, verso la vita.
Il futuro oggi è soltanto un'altra malattia da soffocare o che ci soffocherà.

giovedì 17 gennaio 2013

counting on a new beginning (SOUNDTRACK OF MY LIFE #9)



Estate della maturità.

E nel cuore un'infatuazione cerebrale fortissima per qualcuno di troppo vecchio, troppo sbagliato, troppo altrove in un mondo che avrei conosciuto poi, molto poi, sincronizzando le affinità e dandogli ragione alla fine dei giochi.
E questa canzone a farmi sbiellare di bruttobrutto.
E Parigi, e luoghi visti con occhi di speranza qualche mese più tardi.

giovedì 10 gennaio 2013

attualissimo (SOUNDTRACK OF MY LIFE #8)

... perchè questa rubrica non parla solo al passato, vero? e c'è questa cosa oggi che mi è entrata dentro dalle orecchie e non trova la strada per uscire. 

A volte certe parole, certi schiaffi sonori scendono su di noi come la mano di un dio invisibile che ci carezza e ci pungola e ci consola tutto assieme, con il tempismo perfetto, un tempismo profano lasciato ad un caso che si chiama davvero caso ma noi facciamo che chiamarlo bisogno


martedì 8 gennaio 2013

affanno

Mi sento così, con queste dita a stringermi esofago e trachea assieme, a farle aderire.

Mi sento arruffata fin dentro la scatola cranica, scontenta da martellarmi le unghie.

Sono in attesa di cattive notizie. Di percentuali sempre più basse, di cifre in calo.

Certe volte vorrei soltanto scomparire per un po'. O solo fermarmi. Non proseguire giù.

giovedì 3 gennaio 2013

Proprio ieri sera parlavamo di te... (SOUNDTRACK OF MY LIFE #7)



Qui c'è la mia infanzia. Le domeniche mattina a spolverare il salotto mentre quell'ingenuo mangiacassette mandava musica e la voce di mia madre la rincorreva, strattonando e sognando i sogni di una quarantenne. E poi tornava babbo con la pasta fresca e le armonie diventavano due.
L'odore di pulito, la luce che si riflette sul centrotavola, le maniche del pigiama arrotolate, il ragù buono. Avrei dovuto memorizzarne di più.
Morandi mi ha fatto da zio e non lo sa.