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Un po' (molto po') di me

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Sono una wannabe-molte cose: giornalista, fotografa, animatrice, interprete, scrittrice, designer. O per meglio dire sono una WANTED TO, visto che ho scelto una carriera da creativa che mi ha portato al niente disoccupazionale. MA sono anche: figlia unica (e assenteista), moglie mutevole; riciclona seriale con tendenza compulsiva all'ammucchio negli angoli, amica leale, tendente alla puntualità cronica e alla lacrima+sigaretta, professionalmente impeccabile. Contraddittoria e mutevole. Cinica e creativa. Stronza, nella maggior parte dei casi.

lunedì 21 settembre 2009

A voce bassa


Dicono che i morti bisogna lasciarli in pace. Che nella nostra testa bisogna lasciarli andare, via, per i loro lidi migliori dei nostri. Requiescat, no? 
Che finchè continuamo a tenerli legati alle nostre zavorre di sensi di colpa e di incompiute non troveranno mai pace.


E invece io non voglio che trovi pace, mia mamma. Voglio che divida con me la mia guerra, le mie guerre. Quelle che mi sono cercata e quelle che mi ha lasciato in eredità.
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Non posso fare finta che non sia così, che non debba spartire con lei il fardello. Se n'è andata troppo presto, ma sa che non può farla franca. Ogni cosa che le racconto, ogni volta che la chiamo, ogni volta che la imploro, è lei che torna in superficie: non glielo chiedo io. E' colpa del nostro legame, più forte di tutto. E' mia mamma (non ha senso dire "era"), è il mio amore più grande e il mio angelo: cosa posso tacerle?

Non le taccio di essere infelice: me l'ha sempre letto negli occhi anche quando mi sembrava di essere felice, ma lei vedeva più lungo. Non le taccio di voler scomparire certe volte, di voler sganciare ogni cosa che mi tiene legata qui, e magari raggiungere un posto neutro per riposare la testa. Non le taccio di avere delle speranze che non dovrei avere, perchè ho deciso di provare ad essere felice in salita invece che rassegnata in discesa. Riuscirei a nasconderle che aveva ragione a pronosticarmi tanta disgrazia a stare con un individuo del genere? E non mi ha visto sposarmi - anche se, in un momento ben preciso, l'ho sentita chiaramente dietro di me, seduta accanto a babbo, quel maledettissimo giorno.

Ecco, all'improvviso da figlia reticente e bugiarda sono diventata cristallina. Tutto, tutto viene diviso equamente con lei. Anche l'angoscia di sapere un padre malato e distante, solo come un cane e dannatamente vigliacco. Che si finge un ragazzino autosufficiente e in forma mentre non mi apre il vaso di Pandora dei suoi problemi, ma vuole accollarsi i miei. Vizio dei genitori, mamma, lo facevi anche tu. Ma cazzo! Sono cresciuta, so portare i sacchi e i guai sulle spalle, posso provare a fare un po' io la mamma di mio padre per una volta? E invece non m'è concesso, e sguazzo nell'handicap. Mamma, com'è che tu riuscivi a tenerlo in carreggiata? Cosa gli mettevi nel caffè a colazione? Con quale formula magica lo rendevi razionale, efficiente, sveglio (mentre rendevi me una ragazzina insicura e dipendente, perennemente alla ricerca del tuo consenso)? E com'è che io non riesco a farmi dire la verità su nulla? Posso solo guardarlo ogni volta come se fosse l'ultima, e sentirne già un po' la nostalgia. Il mio sangue, che invecchia.

E allora mi scoraggio. Mi viene il nervoso e Lui se ne accorge. E mi vuole vedere per farmi sfogare. Per parlare, Lui che si lamenta sempre che parlo troppo. Lui che dice la cosa giusta, mentre il consorte se ne frega e ironizza, non vede nemmeno quant'è angosciante gestirmi (...non gestirmi...) questo problema e ovviamente non lo spartisce con me, lui che non vede neppure i problemi della sua famiglia. Non sa cos'è la famiglia, tutto qui. E mio padre questo lo vede, vede che non si è in armonia, vede che si gioca a farci dispetti, sa che non può chiedermi un nipote ora come ora: vede bene che cerco le mie soddisfazioni così tanto altrove che sembriamo due estranei. Mamma invece vede tutto e sa, sa quanto mi sento amata in quell'altrove, dove qualcuno per me ha costruito un rifugio che spero di occupare al più presto. La consulto e la stresso per questo e, oh madonna! quante me he avrà dette. Non sono un esempio di virtù, mamma, proprio no. Mi sento leggera leggera nel mio stato di fedifraga, e cazzo, mi scappa da ridere a dirlo; e mi sento costretta in questo matrimonio che non lo è più; e ho voglia di scappare e ti chiedo aiuto; lo so che ti rode, che non si fa, che una fede è per sempre, ma puoi aiutarmi ad essere un po' felice e in pace con me stessa?


No, mamma, non ti lascio riposare in pace. Io ti tormento e questo è lo scotto da pagare per avermi lasciato vagabonda nella vita senza navigatore e senza istruzioni. Non avevo esempi da seguire eccetto il tuo che era anacronistico... e tuo, non mio. Questo è il mio modo per farti vivere accanto a me, farti continuare a metter bocca, lasciarti entrare in quel mondo che non sei riuscita nemmeno a vedere bene. Fa male vedere quanta merda c'è dentro, quanti ruderi... lo so. Fa male di più viverci.
Non puoi riposare in pace: devi ancora vedere tuo nipote, devi ancora sapermi felice.

mercoledì 9 settembre 2009