Follow on Bloglovin

Un po' (molto po') di me

La mia foto
Sono una wannabe-molte cose: giornalista, fotografa, animatrice, interprete, scrittrice, designer. O per meglio dire sono una WANTED TO, visto che ho scelto una carriera da creativa che mi ha portato al niente disoccupazionale. MA sono anche: figlia unica (e assenteista), moglie mutevole; riciclona seriale con tendenza compulsiva all'ammucchio negli angoli, amica leale, tendente alla puntualità cronica e alla lacrima+sigaretta, professionalmente impeccabile. Contraddittoria e mutevole. Cinica e creativa. Stronza, nella maggior parte dei casi.

venerdì 19 dicembre 2014

Cuspide

Oggi sarebbe stato il tuo compleanno.
Ogni anno me ne ricordo da quando ci siamo conosciuti lì in quella terza fila di accenti misti alla lezione crudele e pallosa del giovedì mattina alle 8. Settimana Enigmistica per aspettare svegli il prof con diversi quarti accademici, rubrica dell'oroscopo. "Devo controllare se per caso nel 79 il Capricorno è entrato prima... saresti cuspide!" "Ah. Beh. Che me ne fotte a mmé. Manco ci credo"

Amico mio, fetta del mio cuore, sprone e zavorra degli esami più neri, quante risate e quante lacrime io e te. Il tuo nido da arredare a pochi giorni dall'arrivo del tuo amore grande, quello scricciolino spaurito con gli occhiali spessi che ha tirato subito fuori artigli e sangue bollente della vostra terra "di confine", finché ha capito che non ti avrei portato via da lei.
Vendemmiare assieme e schiacciare coi culi stanchi altra uva rimasta addosso in quel pandino che era diventato cogestito nei weekend oramai. "Sono sotto casa tua... ora guidi tu che nevica" "Ma io la neve la conosco solo in foto". Sbornie prese a turno e quella volta che mi hai trattenuto dal picchiare una mano morta, mi hai calmato, mi hai fatto respirare e poi l'hai picchiato tu "picchì non voglio che ti sporchi 'i mani". E quella domenica che avevi il boiler rotto e sei stato da me quattro giorni e con mamma giocavi a briscola e le insegnavi il tuo dialetto e babbo ti portava il rispetto che non avevo mai visto in lui per uno della mia età. Eri un mio amico ma un suo pari.
Amico all'antica, amico disincantato e terreno, amico pilastro e defibrillatore del mio umore volatile, difensore mio accorato, mio primo fan e complice onestissimo, dai planning agli abiti da sposa. Alla mia laurea mi hai pianto addosso, credevo fosse gioia e quel "chemminchia vai a fare lassù che fa fridd". Al funerale di mia mamma ho pianto io addosso a te, potevo afflosciarmi lì sulla tua scrivania senza sentirmi stupida.
Poi il tuo citofono ha cambiato nome, il tuo numero ha smesso di esistere. Ho pensato fossi entrato in crisi, neppure lo scricciolo rispondeva più. E dove ti ritrovo per restituirti il favore, mannaggia a te. Ok, mi richiamerai prima o poi... ho ancora il tuo codice penale... dovrai dirmi imbarazzato e fiero che vi sposate, prima o poi.

Qualche mese fa passo dalla Prof e nei suoi annali trovo i tuoi occhi in una foto del mio corso. Prof, ma lui se lo ricorda? Sa quando s'è laureato, che fine ha fatto?
Brutta fine. Solo questo dice. Scappo, corro dal tuo relatore.
Hai scoperto di avere la SLA mentre eravamo in tesi, io agli sgoccioli e tu al debutto. Hai taciuto tutto, hai portato fino alla laurea il tuo scricciolino e poi l'hai aiutata a fare carriera e alla tua non hai più pensato. Hai lasciato che lei spiccasse il volo e quando ti sei sentito un peso per lei, per i tuoi, per tua sorella te ne sei andato, zitto, portandoti via il vostro futuro iniziato sui banchi di scuola. Un tetto, un volo. Tu che avevi paura solo di una cosa nella vita: di volare... non di fallire, non di morire, non di invecchiare. E io che avevo paura di tutto rimango qui e non so a chi fare gli auguri oggi, non so a chi dire che ho una spina di traverso nel cuore e che il tuo passaggio nella mia vita è tra le cose più vere e preziose che ho vissuto.
Che mi sei mancato per dieci anni, che non smetterai mai di mancarmi e che non ti dimentico.

martedì 9 dicembre 2014

Tornare

Torno a dire... che cosa dovrei dire?

Non è vero che se si chiude una porta si apre un portone. Se si chiude una porta si rimane fuori, al freddo sottozero di Dicembre, con la fame la sete e magari scappa anche la pipì.
Per fortuna pare che la porta non sia del tutto chiusa, per ora. Odio dire "per ora", è come chiedere di galleggiare su una tinozza che imbarca acqua ma "per ora" non affogo. 
Per fortuna pare che chi deve decidere del futuro di 150 dipendenti sia tornato sui suoi passi e che non stia sbaraccando il tutto, ma c'è comunque una spada di Damocle bella pesa che sta lì a ricordarci che questo mese lo stipendio arriverà (magari tutto, probabilmente a metà) ma dall'anno nuovo ogni mese potrebbe essere l'ultimo. Ed ecco che ci si arrabatta, si ricomincia - ma io a dire il vero non ricordo di aver mai smesso - a mandare cv, a spulciare annunci, ad accattonare spifferate di gente che forse si trasferisce forse va in pensione forse viene silurata e mi faccio un po' schifo ad applicare quell'homo homini lupus che non mi andava giù neppure a doverlo raccontare ad un prof, ma poi mi dico che è Darwin, che sopravvive il più forte ed il meglio adattabile, e dovrei fregarmene se quelli che rimangono indietro hanno figli mutuo vita propria da portare avanti, ché tanto loro a me mica pensano quando chiudono la porta di casa alle spalle la sera e si mettono a cena. Quindi azzanno, passo avanti, ma mi faccio ugualmente schifo e so che non dovrei perché devo sopravvivere pure io, solo che vorrei far meno male possibile. 
No, non propinerò ora il segone politicizzato. Non mi va di fare la disfattista.
Rimane il fatto bello consistente che, smosso qualche investimento che avrei tanto voluto rimanesse dov'era e cercata qualche forma alternativa - ma poco affidabile - di introito, siamo ancora qui, lui ed io, sulla tinozza. Ha cercato in tutti i modi di convincermi a tornare nel porto sicuro che mi aspetta sempre (tutto spesato) al paese natio, mentre lui si sarebbe rintanato a mangiare merda di design dal suo parentado, invece no, costi quel che costi noi rimarremo assieme e se dovremo affondare affonderemo, e se dovremo galleggiare galleggeremo, e con un bel nastro di scotch bianco e rosso segnaleremo che tutti i nostri progetti in divenire sono fermi che più fermi non si può, addio (per ora) al figlio, al cambio della carretta che porta i nostri culi a spasso, stop a quelle due cartelle equitalia che ci guardano in cagnesco e possono anche scordarsi di essere mosse dal posto dove le ho schedate. Torniamo agli irrisolti, ai progetti sospesi, torniamo ad aver fatto metà di qualcosa che a conti fatti non è nulla se non arriva a fare uno.
Ma torniamo assieme e non ci sono cazzi.